Il Ministero del Serrano nella Chiesa    di S.E. mons, Daniele Ferrari (*)

(*) Vescovo Emerito di Chiavari. Sintesi di una meditazione svolta in occasione di un Ritiro Spirituale dei Serrani del Club Tigullio (21.2.2001)

 

Affinché il Serrano adempia con chiare prospettive e con entusiasmo il suo compito in aiuto al sacerdozio ministeriale, occorre innanzitutto che egli si ponga nella giusta ottica nella quale viene collocato dalla teologia.

Il Serrano, innanzitutto, come tutti i battezzati, ha un suo specifico compito sacerdotale da esercitare: sacerdotale in senso stretto e non per analogia col compito del sacerdozio ministeriale riservato a coloro che sono contrassegnati dal sacramento dell'Ordine. Cristo esercita il suo sacerdozio, unico e identico, in tutti i suoi fedeli, in coloro che vengono toccati dal battesimo, adattandolo alla condizione di vita in cui il singolo fedele viene collocato. In questo modo ogni fedele "afferrato da Cristo" secondo la bella espressione di Paolo (Filipp. 3,12), contribuisce alla edificazione del Corpo di Cristo che è la Chiesa. Il sacerdozio dei ministri dell'altare e dei laici differisce per essenza e non solo per grado, come afferma il Vaticano II (Lumen gentium) ma non nella finalità.

I ministri personificano sacramentalmente Cristo Capo e Pastore nella sua Chiesa, e la edificano nella Parola che annunciano, nei Sacramenti che santificano, nella carità ed unità di cui sono segni tra il popolo di Dio.

I laici a loro volta santificano se stessi e il mondo innanzitutto nella loro famiglia, "Chiesa domestica" secondo la definizione del Concilio, ed inoltre nel loro mondo professionale e nelle molteplici relazioni sociali nelle quali sono collocati. Come Cristo fu sempre sacerdote in ogni suo gesto, così lo è l'afferrato da Cristo. Sotto ambedue le forma, il Regno di Dio è annunciato e vissuto dalla Chiesa mediante i suoi fedeli tutti membri della Chiesa, tutti con un compito sacerdotale. In questa radiosa varietà di compiti, nei quali Cristo prolunga e rivive il suo sacerdozio, in modo che ogni fedele sia - pur nell'unico sacerdozio - una "formula" irripetibile di sacerdozio consumato nell'unica Chiesa, il Serrano non dimentica, innanzitutto, che il suo primo dovere è alimentare la sua intima amicizia con Cristo, memore che se il tralcio si stacca dalla vite non produce più alcun frutto, anzi muore.

La famiglia assume il ruolo principe nell'esercizio del suo sacerdozio: l'amore alla sposa, l'educazione dei figli sono la prima manifestazione ed il primo frutto d'un sincero amore a Cristo ed alla Chiesa. Trascurare la propria famiglia è trascurare Cristo. Dall'amore alla famiglia il Serrano agevolmente spazia sull'amore alla Chiesa intera: la parrocchia, la diocesi, la Chiesa intera rappresentano la grande Famiglia dei figli di Dio, nella quale quotidianamente egli ritrova Cristo con cui rapportarsi concretamente. Le esigenze della Chiesa divengono pertanto le sue esigenze. E non v'è esigenza maggiore, nella Chiesa di tutti i tempi, che quella di famiglie sane e d'un sacerdozio ministeriale che da queste fiorisce, nella dimensione della santità personale, della cultura sacra e della capacità a presiedere il popolo di Dio nella forte dolcezza dello Spirito Santo.

È nel sacerdozio ministeriale che Cristo ha collocato le radici vitali d'ogni comunità cristiana, la fonte della Eucarestia della quale la Chiesa vive, e del Perdono sacramentale. Per carisma proprio, il Serrano avverte che scarsezza di ministri significa immediata anemia d'ogni vitalità nelle comunità ecclesiali. Prega pertanto ogni giorno, secondo il comando di Gesù, "affinché il Padrone della messe mandi operai nella sua messe" (Mt 8,38). Con santa operosità poi esercita quel "discernimento", frutto dello Spirito Santo che abita in lui, per il quale sa intuire ed incoraggiare la manifestazione della chiamata nei figli e negli adolescenti che gravitano nell'ambito delle sue conoscenze. Quante vocazioni autentiche forse sono andate perse, con incalcolabile danno per la Chiesa, perché nessuno s'è curato di scoprirle e coltivarle, magari nonostante segni manifesti!

Tutti i fedeli chiedono ed esigono per le loro comunità sacerdoti: ma quanti collaborano a suscitare le vocazioni? Il Serrano sarà il primo a combattere il pregiudizio, ingiurioso e tardo a morire, che un figlio ben dotato che s'incammina verso il seminario sia quasi una giovinezza sprecata, cosicché al Signore, secondo il paragone biblico, dovrebbero essere riservate le pecore zoppe o minorate. Un'unica consacrazione investe il chiamato e la famiglia della quale viene scelto, come primizia a Dio gradita.

Il Serrano inoltre non confonde mai la umana debolezza del ministro di Cristo coll'indelebile splendore del carattere sacerdotale del quale è insignito: una perla rimane tale anche se fosse caduta in letamaio. Al di là d'ogni apparenza esterna, egli vede Cristo che nei suoi ministri dispensa i suoi misteri di salvezza. La personalità del ministro, per umile e dimessa che sia, non conta: sta solo a dimostrare l'umiltà di Gesù che non disdegna l'umano strumento impastato di fragilità.

Il Serrano non critica né la Chiesa né i suoi ministri, poiché si sente parte attiva nel costruire e nel demolire la Casa comune, fatta dallo Spirito e fondata dagli apostoli; all'opposto, si sente in dovere di sostenere colla preghiera, colla stima e col conforto "l'operaio del vangelo" interiormente tentato dallo sconforto ed esternamente ignorato da una società che cammina in tutt'altra direzione. Come ben si esprime l'apostolo Paolo, fedeli e ministri "abbiamo questo tesoro (lo splendore del vangelo) in vasi di creta, affinché appaia che questa potenza straordinaria proviene da Dio e non da noi" (2Cor. 4,7).

Pertanto, fedele alla sua missione, il Serrano si affida a due potenti armi, la preghiera e il sacrificio allo scopo di guadagnare nuove vocazioni alla sua Chiesa. Così egli adempie alla sua missione, trasformando la sua stessa persona in "olocausto vivo, santo, gradito a Dio". "Questo - prosegue Paolo - è il culto spirituale che gli si addice" (Rom. 12,1).